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domenica 27 febbraio 2011

Il regresso all'infinito e la sua "naturalità" (3ª Parte)

Il meccanismo del regresso all'infinito, secondo Virno, è inseparabile dal suo arresto, che è evidentemente necessario per evitare quello che con una analogia con il linguaggio computazionale è chiamato halting problem (il problema della fermata, che è invece indecidibile nel senso di Godel per una macchina di Turing) e che quindi rende l'essere umano anche da questo punto di vista intrinsecamente diverso da un computer.
L'arresto del regresso nelle parole di Virno "è un dato di fatto, una evidenza empirica (...) E' innegabile che nell'arco di una vita, ma anche di una singola giornata, sono innumerevoli le occasioni in cui arrestiamo la spirale delle metarappresentazioni e dei trascendimenti. Il 'basta così' incrocia l' 'e così via' come l'ascissa la sua ordinata'."
In realtà, l'arresto è secondo il nostro autore un fatto bifronte poiché "al pari di qualsiasi soglia o confine, può essere considerato tanto una via d'uscita che una via d'accesso. Uscita dalla situazione in cui l'identico limite viene riproposto ricorsivamente ad opera del suo stesso superamento; accesso alla conoscenza del dispositivo logico che, istituendo l'infinito andirivieni tra limite e superamento, genera una situazione di tal genere".


Virno identifica due generi principali di interruzione del regresso, che sono:
a. l'interruzione mimetico-omeopatica;
b. l'interruzione proiettiva, che a sua volta si distingue in due sottoclassi : la proiezione del tutto nella parte e la proiezione in uno spazio bi-dimensionale (del tipo ascissa-ordinata, un cui esempio può essere quello filosofico kantiano di scissione tra fenomeno e noumeno o cosa in sé).

L'interruzione mimetico-omeopatica (detta così perché "cura" il regresso con i suoi stessi principi) è data innanzitutto dal termine stesso ' e così via ' che, se considerato anzichè come connettivo sintattico, ma come sintagma lessicale, "implica la sospensione del regresso effettivo. Quando si dice 'e così via, all'infinito', si rinuncia di fatto a rappresentare ancora una volta le proprie rappresentazioni, ci si astiene dal costruire un ennesimo metalinguaggio, si spezza la spirale autoriflessiva a cui è soggetta la vergogna (vergogna di provare vergogna, e poi vergogna per questa seconda e più complessa vergogna ecc.)".


In maniera analoga al sintagma 'e così via, all'infinito', ci sono innumerevoli tipi di interruzione mimetico-omeopatica che possiamo trarre ad esempio da un simbolismo come quello matematico: la radice quadrata di due, √2, ci consente di esprimere in maniera "sintetica" il risultato del suo calcolo che è 1,414213562... e, come dice Virno, "esonera da un compito di cui non si intravede il termine".
Gli assiomi in senso lato sono un altro modo di interruzione mimetica del regresso, in quanto fungono da cornice e quindi costituiscono un limite invalicabile entro il quale si svolgono le sequenze ricorsive. Virno considera assiomi in tal senso sicuramente le proposizioni primitive di una teoria deduttiva, ma anche le convenzioni linguistiche e comportamentali e gli assunti teologici.
A rendere un assioma tale, secondo Virno, è "soltanto la tappa della fuga all'indietro che precede l'interruzione di questa stessa fuga; la tappa, cioè, che viene subito prima del sintagma 'e così via, all'infinito' con cui si sospende il regresso proprio mentre se ne ratifica la presenza".
Con l'assioma, quindi, si stabilisce un punto del regresso in cui "la procedura ricorsiva non è più usata, ma solo menzionata."


Oltre al concetto di assioma, che non sempre consente di "incorniciare" il linguaggio e l'esperienza umana, si inserisce quello di fondamento o "principio primo", ossia le condizioni di possibilità stesse del regresso all'infinito, che per Virno corrispondono alle condizioni di possibilità dell'esperienza umana e "nella misura in cui prendono le sembianze di un fondamento, sono proprio le condizioni di possibilità del regresso a determinare la sua interruzione".
Tra le condizioni di possibilità per eccellenza c'è il linguaggio verbale che costituisce ad un tempo lo sfondo e la figura di primo piano del regresso e della sua interruzione.
In sostanza, il linguaggio verbale è inteso come fondamento dell'antropogenesi spostando l'accento dal suo "funzionamento" al fatto che esso "è", ossia è uno stato di cose contingente che ha determinato il distacco dell'essere umano dall'animale, quindi rappresentando in tal modo una soglia rispetto alla vita pre-linguistica che è indifferenziata e quindi contraddittoria in quanto, come direbbe Aristotele, senza "logos". Ne consegue che il linguaggio verbale come fondamento dell'essere umano costituisce la premessa del regresso ed al tempo stesso la causa del suo arresto.
Il principio logico di non contraddizione in tale senso assume una valenza antropologica in quanto condizione di possibilità fondamentale dell'esperienza umana, che permette di distinguere e di dare un significato semantico all'esperienza stessa attraverso il linguaggio (l'esperienza pre-linguistica e sub-simbolica è caratterizzata invece da indeterminatezza semantica), costituendo così un fondamento/cornice per l'interruzione del regresso.

Sempre all'interno dell'interruzione mimetico-omeopatica troviamo il rito, che simulando una crisi della  "soglia antropogenetica" la ri-conferma ogni volta attraverso i suoi procedimenti.
In sintesi, nel rito si crea una instabilità, uno stato di indeterminatezza semantica e quindi "non-umana" per poi ri-dare significato ad una particolare condizione di gruppo sociale tipicamente umano.
A tal proposito Virno dice che "la prassi rituale si risolve in una costante oscillazione tra i due versanti della soglia antropogenetica (principio di non contraddizione e indeterminatezza semantica, nda). Questa oscillazione è imposta, del resto, proprio dal fenomeno a cui il rito si applica: la crisi periodica dell'antropogenesi, ovvero la parziale reversibilità delle prerogative che caratterizzano la nostra specie."
Attraverso questa "rievocazione" si arresta il regresso all'infinito determinato dal linguaggio.
L'interruzione proiettiva è quella che si esplica attraverso la cristallizzazione del pensiero e della prassi, dove i "cristalli del pensiero" sono le idee e i "cristalli della prassi" sono le abitudini.
Le idee sono una cristallizzazione del pensiero determinate da un processo di proiezione del tutto nella parte, ossia possiamo immaginare un rapporto mappa-territorio in cui la mappa-idea è essa stessa parte del tutto-territorio (esempio che Virno trae da Pierce).
Per Virno il "tutto" è sempre costituito da una diade, quindi una realtà bi-polare da cui si innesca il regresso (l'insieme ambiente-mondo, biologia-cultura, individuo-specie ecc.), e l'idea ne rappresenta una necessaria cristallizzazione che consente la descrizione dei singoli poli in un processo che si è visto essere di continua ricorsività (ambientalizzazione del mondo, mondializzazione dell'ambiente ecc.). Pertanto, l'idea è sempre autoreferenziale in quanto "l'idea-mappa, misurando l'intero territorio, misura anche sé stessa come parte del territorio. Più in generale: l'idea è davvero tale perché comprende al proprio interno tanto la giuntura che la differenza tra idea e fenomeno"  e ancora "ogni idea è sempre, in prima ed in ultima analisi, una rappresentazione della duplicità di aspetto che caratterizza la nostra specie."
Con riferimento alle idee così definite, Virno afferma che il principio del terzo escluso è destinato a soccombere in quanto "Se designiamo con la lettera A l'unità di biologia e cultura, e con non-A la loro divaricazione, la negazione di non-A, vale a dire "non non-A", non da' come risultato necessario A, giacché può rimandare, e nel caso delle idee senz'altro rimanda, a quel tertium datur che è l'inseparabilità di unità e divaricazione tra biologia e cultura (A e anche non-A). Mai passibile di esclusione, la terza eventualità è in realtà dirimente. Il regresso all'infinito scaturisce dal suo misconoscimento. O meglio: il regresso è la nemesi che colpisce l'impiego di una logica a due valori (o A o non-A) a proposito della relazione tra biologia e cultura."

Infine le abitudini, che come si è detto rappresentano una cristallizzazione della prassi.
Prima, però, bisogna definire due coppie di concetti, ognuna delle quali va a costituire due assi di coordinate perpendicolari.
La prima coppia è costituita da:
- disposizione: l'attitudine a fare o subire qualcosa;
- avvenimento: una singola manifestazione di questa attitudine;
mentre la seconda coppia da:
- grammaticale: tutto ciò che delimita e qualifica la forma di vita specificatamente umana, "modi di agire basilari e invarianti, strutture cognitive fondamentali, immagini del mondo certe come una tautologia". In questa categoria, in sintesi, possiamo ritrovare ciò che Wittgeinstein definiva "modo di comportarsi comune agli uomini" e di cui si è parlato anche nel precedente post;
- empirico: "i fatti della vita, le mosse interne ai diversi giochi linguistici, i fenomeni di cui si può addurre una causa o una ragione, ciò che è accidentale o soggetto al dubbio".


Ciò premesso, Virno afferma che "l'abitudine, cristallo della prassi, è costituita dagli stessi assi perpendicolari che, per altro verso, inducono il blocco del regresso all'infinito. E' costituita, cioè, dalle coppie disposizione-avvenimento e grammaticale-empirico."
Il fatto che le coppie in esame siano "perpendicolari" fra loro e quindi come minimo dialogiche implica che dal loro accoppiamento dinamico si generino le abitudini, che quindi rappresentano dei punti di intersezione antropologici attraverso cui si disinnesca il regresso all'infinito (quello che si è chiamato regresso per presupposizione), che altrimenti si genererebbe senza questa dinamica proiettiva in uno spazio bi-dimensionale.
Nelle parole di Virno si può dire che "sembra lecito affermare, quindi, che l'abitudine ha il suo fulcro nella relazione fra qualcosa di permanente (il grammaticale, la disposizione), che però è intrinsecamente lacunoso, e qualcosa di labile (gli avvenimenti, i fatti empirici), che però è completo in sé stesso."
Ne deriva così un ethos in cui si "ripete sempre di nuovo la correlazione tra disposizione ed avvenimento, grammaticale ed empirico" ed in cui c'è sempre spazio per la novità che si genera appunto dalla dinamica predetta.
In sintesi, le abitudini non restano mai identiche ma cambiano in funzione della dinamica delle coppie (ascissa/ordinata) di cui si è parlato.
Termina qui questa spero interessante "puntata metafisica" innescata dal regresso all'infinito.
Nel prossimo post riprenderò a parlare di coscienza, in particolare secondo la visione di Alva Noe e del suo "Perché non siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza" di cui traccerò successivamente alcune analogie con il modello del quantum brain.


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sabato 19 febbraio 2011

Il regresso all'infinito e la sua "naturalità" (2ª Parte)

Abbiamo detto che il fondamento naturalistico del regresso all'infinito risiede, secondo Virno, nella ricorsività sintattica e in un circolo logico che a sua volta si basa su:
Fonte: http://www.brunovergauwen.be/

a. iper - riflessività : ossia la "necessità biologica di rappresentare le proprie rappresentazioni e di intervenire operativamente sulle proprie operazioni" (meta-rappresentazioni e meta-operazioni);
b. trascendenza: ossia la "necessità biologica di proiettarsi al di là del qui ed ora per restare aggrappati ad esso, di distaccarsi dalla propria vita per continuare a vivere, di essere sempre fuori di sé per conseguire un barlume di identità";
c. la duplicità di aspetto: ossia "la necessità biologica di una esistenza artificiale o storico culturale, comunque extra-biologica".

In particolare, nel definire la duplicità di aspetto Virno parte da quella che Arnold Gehlen identificava come l'asimmetria fra il "profluvio di stimoli" ambientali e la mancanza di una immediata relativa finalità biologica dell'essere umano.
A tal proposito, Virno scrive:
"Nel caso di Homo Sapiens manca una corrispondenza biunivoca fra ciò che si percepisce e ciò che si fa. Predominano piuttosto la sproporzione e la discontinuità. La sovrabbondanza di impressioni e di sollecitazioni provenienti dal contesto non si traduce affatto in un minuzioso catalogo di compiti vitali. Il significato del "profluvio" percettivo resta indeterminato, o meglio, soltanto potenziale. Lo scarto duraturo fra stimoli ed azioni induce una certa disaderenza, anzi un vero e proprio distanziamento, dell'animale umano rispetto agli stati di cose circostanti. Questo distanziamento, con la conseguente incertezza operativa (e il conseguente sentimento di vergogna che essa genera; il "gap prometeico", nda), sta alla base dei tre requisiti adattivi di cui si diceva poc'anzi (iper-riflessività, trascendenza, duplicità di aspetto) (...)
La duplicità di aspetto dell'animale umano è una conseguenza implicita della iper-riflessività e della trascendenza. Questi requisiti bio-antropologici già presentano, infatti, una fitta rete di sdoppiamenti e scissioni: profluvio di stimoli non finalizzati biologicamente ed elaborazione di una condotta vantaggiosa (se si preferisce: potenza indifferenziata e atti univoci), rappresentazione e metarappresentazione, semplice vivente e garante della propria vita, protagonista e spettatore, interiorità ed esteriorità, al di qua e al di là, ambiente e mondo. Gli sdoppiamenti appena enumerati (e altri ancora, beninteso) concorrono in molti e variabili modi a determinare la vera e propria duplicità di aspetto: quest'ultima consiste nel fatto che l'uomo è un animale naturalmente artificiale, ovvero un organismo il cui tratto biologico distintivo è la cultura (...)
Ora il punto rilevante sta tutto qui: l'animale umano è insieme relazione e termine correlato, tramite oggettivo e polarità bisognosa di connessione.
Se scriviamo xRy, cioè "x è in relazione con y", dobbiamo però osservare che nel nostro caso 'x' coincide con 'R' e 'R' non è cosa diversa da x. Una notazione adeguata sarebbe xXy.
L'identità, che tuttavia è anche una differenza, tra 'x' come termine correlato e 'X' come relazione illustra bene l'identità-differenza tra biologia e culturanatura ed artificiomente individuale e mente sociale. L'unità dei due aspetti si manifesta unicamente nella loro divaricazione; e viceversa proprio questa divaricazione comprova la loro unità: 'x' (organismo biologico, mente individuale) è uguale a 'R' (relazione storico culturale con il contesto operativo, mente sociale) proprio perché nondimeno ne resta distinto. Per un'antropologia materialista è irragionevole negare l'identità di biologia e cultura, ma non lo è meno disconoscere la differenza che sussiste fra esse: quel che davvero conta è l'inseparabilità di unità e divaricazione".

Dunque, secondo questa analisi, tra biologia e cultura esiste ad un tempo identità e differenzama è nell'inseparabilità di queste ultime relazioni che risiede la vera importanza del loro rapporto.
La duplicità di aspetto così definita da' origine a due tipi di regresso, ossia:

Foto tratta dal film "2001: A space Odissey"

1. il regresso per alternanza, che è originato dalla bi-polarità di naturale ed artificiale, in cui ognuno dei due poli diventa alternativamente polo egemone includendo temporaneamente l'altro in un processo ricorsivo (il naturale in una sua accezione allargata finisce per includere l'artificiale, ma a sua volta l'artificiale ampliando la sua portata riprende il primato, e così via);
2. il regresso per presupposizione, che è invece formato da un solo polo (uni-polarità) che però finisce per sdoppiarsi diventando condizione e condizionato: si tratta dell' auto-coscienza linguistica, che prevalendo sul piano sub-simbolico pulsionale finisce per duplicarsi incessantemente.

Nelle parole di Virno "la realtà sub-simbolica dell'animale umano trapela con sembianze improprie nella marcia a ritroso di un Io che, essendo incardinato per intero nell'ambito simbolico, è sempre presupposto o anteriore a sé stesso. Nel regresso per alternanza il punto di partenza è la differenza senza unità. Nel regresso per presupposizione, l'unità senza differenza."

Nel regresso per alternanza è fondamentale la bi-polarità fra ambiente e mondo e fra individuo e specie, ma anche fra intra-psichico e inter-psichico e fra interiore e pubblico.
In particolare, l'ambiente possiamo considerarlo come una sorta di temporanea nicchia ecologica dell'essere umano, quindi rappresenta le certezze e le abitudini, mentre il mondo è quanto di indeterminato si percepisce nell'ambiente, la presenza e la pressione delle sue potenzialità, quindi la ricorsività dei limiti ambientali in continuo movimento espansivo.
L'essere umano percepisce l'ambiente A e i suoi limiti L ed il mondo, asserisce Virno, diventa la percezione di (A+L)+L e poi di [(A+L)+L]+L, e così via.
Il mondo, dunque, "si annuncia nella crisi di un ambiente storico-sociale" ed il processo si sviluppa ricorsivamente attraverso la ambientalizzazione del mondo e la successiva mondanizzazione dell'ambiente, e così via. 
In tale schema ricorsivo, l'ambiente (ambiente-atto) è uno stato attuale mentre il mondo (mondo-potenza) uno stato potenziale, ma la loro relazione - come quella biologia-cultura - assume senso solo attraverso il regresso di tipo bi-polare a cui danno luogo questi due termini.
Analogamente al rapporto ambiente-mondo, si snoda il rapporto fra individuo e specie, in cui "l'individuo individuato è sempre qualcosa in più e qualcosa in meno della sua specie".
Da un lato l'individuo eccede la specie perchè è una sua attualizzazione inconfondibile e irripetibile, dall'altro è qualcosa di meno in quanto non presenta in atto tutte le potenzialità della specie stessa.
Da questa asimmetria individuo - specie, manco a dirlo, si "attizza" il regresso all'infinito per alternanza, che si basa su due poli: l'idea di Uomo come specie e il singolo individuo empirico.
Nelle parole di Virno "l'individuo è trasceso a sua volta dalla specie che aveva appena trasceso. Tuttavia, in quanto  ne costituisce pur sempre la 'realtà ultima', il singolo eccede di nuovo la natura comune: la relazione tra molti singoli, il loro agire di concerto, sono introiettati nella mente individuale; la dinamica interpsichica si rapprende così in un'esperienza intrapsichica".
Quindi pubblico e privato, in tale quadro, anch'essi si avviluppano in un regresso in cui si intrecciano l'interiorità del pubblico e la pubblicità dell'interiore.


Nel regresso per presupposizione (quello uni-polare) innanzitutto siamo di fronte ad un processo logico meramente culturale e, quindi, linguistico-simbolico di cui Virno stigmatizza due eventualità:
a. il discorso che verte su un discorso (meta-linguaggio);
b. la regola che cerca sostegno in un'altra regola più autorevole (meta-regole).

Il metalinguaggio è un processo ricorsivo che intreccia significante ("meta") e significato (linguaggio "oggetto") e che esplicita il livello sub-simbolico come "anteriorità della parola nei confronti di sé medesima" nel senso che le pulsioni vengono sostituite dal linguaggio stesso (in questo Virno riprende il Wittgenstein delle "Ricerche Filosofiche"[1953]) e quindi tale regresso è strettamente legato alla differenza-unità fra proposizioni e pulsioni.
Passando alle meta-regole, Virno afferma che "una regola non da' ragguagli di sorta sul modo in cui deve essere applicata in un caso particolare. Tra la norma e la sua concreta realizzazione esiste uno iato incolmabile (...)" e il regresso all'infinito "sorge (proprio) dal misconoscimento dello iato che separa ogni norma da quell'episodio extra-normativo che è la sua esecuzione in un frangente determinato".


Infatti, l'applicazione della regola diventa una "variabile dipendente del concetto di regola. Ma il concetto di regola, una volta reso autosufficiente, non può evitare di sdoppiarsi in regola-oggetto e meta-regola" e da qui inizia il regresso.
Come per i meta-linguaggi, si genera una gerarchia di livelli normativi in cui Virno ravvede da un lato "l'eteronimia della cultura e la sua effettiva ibridazione con elementi non culturali (o sub-simbolici)" e dall'altro lo stretto legame con la coppia ambiente/mondo.
Il concetto di regola, infatti, per lui coincide con quello di Istituzione e quindi con il ruolo primario di quest'ultima nella fase di ambientalizzazione del mondo, mentre l'applicazione inusuale della regola apre all'aspetto della mondanizzazione dell'ambiente.
In questo circolo si evidenzia l'aspetto politico di questo regresso in quanto emerge la tendenza a quel limite che è l'indiscernibilità fra azione esecutiva (questione di fatto) e norma (questione di diritto) che secondo Virno è "lo sfondo permanente della prassi umana" e che Wittgenstein chiamava "il modo di comportarsi comune agli uomini".
In sintesi, cioè, la regola diventa "naturale" (in realtà si tratta di condotte naturalmente artificiali) e quindi ha un valore politico (perchè ambientalizza il mondo) oltre che sociale. A questo punto la regola, però, si trasforma in regolarità, che avendo una valenza bio-antropologica è instabile e quindi soggetta all'oscillazione tra ambientalizzazione del mondo e mondanizzazione dell'ambiente e quindi si candida ad interagire innovativamente con la componente simbolico-culturale per portare alla creazione di nuove regole, e così via.

Nel prossimo post concluderò questo excursus su antropologia e logica, attraverso il libro di Paolo Virno, e affronterò il tema delle tecniche di interruzione del regresso.

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domenica 13 febbraio 2011

Il regresso all'infinito e la sua "naturalità" (1ª Parte)

Dopo aver parlato degli anelli ricorsivi di Hofstadter ci dovremmo essere abituati al fatto che è tipico dell'essere umano "proiettarsi" in processi logici che hanno alla base il "concetto" di infinito.
Un libro interessante che affronta questo tema da un punto di vista antropologico e logico-filosofico è quello di Paolo Virno "E così via all'infinito. Logica ed antropologia" (2010), in cui il filosofo del linguaggio considera il meccanismo di regresso all'infinito una delle tre categorie fondamentali che costituiscono la base logica della metafisica assieme alla negazione ed alla modalità del possibile. Mi preme subito sgomberare il termine "metafisica" da significati di tipo spiritualistico e precisare che parleremo di una metafisica squisitamente materialistica e naturalistica poiché, dicendola con le parole di Virno, "tutto lascia credere che la metafisica, con il suo caratteristico repertorio di problemi non empirici, sia una tendenza naturale della nostra specie".
Ma cosa è il regresso all'infinito e cosa lo rende così "naturale"? Un esempio ci fa capire subito di cosa stiamo parlando e lo lascio fare allo stesso Virno:
"Lungi dall'essere una eventualità bizzarra e marginale, o una faccenda che possa interessare soltanto i logici di professione, l'interminabile 'e così via' riguarda da vicino ogni genere di cognizioni, comportamenti pratici, affetti. Con esso ha dimestichezza già il bambino, che chiede la ragione di un certo avvenimento, e poi la ragione di questa ragione, e poi ancora la ragione della seconda e più fondamentale ragione ecc., dando luogo così ad una vertiginosa gerarchia ascendente di 'perché'.  Il regresso all'infinito è una sorta di refrain, familiare ed inquietante ad un tempo, che accompagna, ed in certa misura condiziona, qualsivoglia esperienza. Poco si capisce dei modi in cui la nostra specie si adatta (o non si adatta) al proprio contesto vitale, come pure dei conflitti sociali e politici che ne costellano la storia, se non si tiene nel debito conto la pervasività di questo fenomeno logico-linguistico". 
Inoltre, come vedremo, questa naturale tendenza iterativa, che si proietta sia a ritroso che in avanti, deve necessariamente essere interrotta per poter dare luogo a comportamenti e decisioni (strategie cognitive), che siano - anche solo provvisoriamente - adeguati alle circostanze.
E', inoltre, fondamentale intuire sin da subito che questo processo logico e linguistico-sintattico è peculiare del solo essere umano e che quindi lo distingue da ogni altro animale in quanto animale linguistico.
Uno dei primi esempi tratto dalla storia della filosofia che fa Virno ed in cui emerge la "metafisica del regresso" è quello del "terzo uomo" di Aristotele, una meta-idea che va a mediare in un processo ricorsivo, costituendone una momentanea unità di misura (l'idea e il dato sensibile si "conformano" al concetto di terzo uomo), la relazione fra l'uomo empirico e l'idea di Uomo (e qui si rimanda anche a Platone e alla sua relazione idealistica fra ente sensibile e idea universale).
Il regresso senza esito (cioè all'infinito) si origina in quanto il terzo uomo non è, ovviamente, l'ultimo: se ne genererà, cioè, sempre uno nuovo ed "intermedio" fra esso e l'uomo empirico e quindi il processo ricorsivo in questo caso è determinato da due poli di cui uno è sempre "ideale" e l'altro è "empirico".
Un altro esempio di spirale ricorsiva è quello tratto dal filosofo inglese Josiah Royce e riguarda il tentativo di rappresentare l'immagine mentale della propria mente, infatti "l'immagine che ci si fa della propria mente è, essa pure, uno stato mentale di cui bisogna dare conto e da ciò segue che l'immagine della propria mente, per risultare attendibile, deve essere anche l'immagine dell'immagine della propria mente e poiché la nuova e più comprensiva immagine è pur sempre uno stato mentale ecc.".
Da un punto di vista antropologico è interessante l'affermazione di Virno in base alla quale:
"il 'terzo uomo' adombra lo scarto fra individuo e specie, ovvero la parziale incommensurabilità di due termini, che pure sono complementari ed inscindibili. La serie ascendente delle condizioni che rendono possibile un determinato fenomeno indica, invece, un grado elevato di inadattamento all'ambiente; o anche, ma è lo stesso, la possibilità da parte dell'Homo Sapiens di avvertire e mettere a tema i limiti di ogni particolare configurazione ambientale in cui si trova di volta in volta ad operare. Dal canto suo, l'interminabile spirale suscitata dal tentativo di elaborare un'immagine mentale della propria mente illustra bene la struttura perennemente lacunosa dell' autoriflessione".
La cosa importante, dunque, da comprendere - lo ripeto - è che il regresso all'infinito è un fenomeno squisitamente linguistico (cito Virno) e pertanto di tipo simbolico. 
In quanto simbolico, si potrebbe ipotizzare una sua stretta dipendenza dalle pulsioni sub-simboliche e quindi tentare di ridurlo ad una coazione a ripetere (se si vuole utilizzare il lessico freudiano), ma Virno qui è molto chiaro nel distinguere le due cose: l'iterazione pulsionale è sempre uguale a sé stessa, mentre nel regresso all'infinito "ogni passo successivo costituisce uno sviluppo rispetto ai passi anteriori, ossia inaugura un livello (epistemico o operativo) più complesso e comprensivo, che subordina a sé i livelli fin lì delineatisi (...) Il regresso all'infinito esautora la congiunzione paratattica, essendo piuttosto contraddistinto da una ferrea stratificazione gerarchica. Soltanto nel regresso logico , non nella coazione a ripetere, ogni termine è generato da quello precedente in una sorta di concatenamento architettonico o di fuga prospettica; soltanto in esso il superamento del limite implica la riproduzione allargata (tale cioè da attingere un livello di maggiore generalità) del medesimo limite".
Nell'approccio di Virno è chiara una visione preminentemente sintattica del fenomeno del regresso all'infinito, determinato appunto dal linguaggio e dalla sua natura simbolica e non riducibile al sub-simbolico, come ho già detto poco sopra. In questo, Virno riprende la visione di Noam Chomsky e ne include, a mio parere, una visione computazionale di tipo Turing della sua grammatica generativa.
Attraverso l'iterazione ricorsiva si genererebbe la novità e quindi la capacità adattiva "di aderire con duttilità a situazioni impreviste".
Riprendendo una felice espressione di Humboldt ripresa dallo stesso Chomsky, che è quella di "fare un uso infinito di mezzi finiti", Virno ci introduce al processo della gerarchia ascendente dei metalinguaggi attraverso il quale si produce "qualcosa di nuovo" (la semantica in tal senso sarebbe "generata" dalla natura ricorsiva della sintattica; la metafora a cui dobbiamo pensare è sempre quella del "terzo uomo" aristotelico).
Molto in sintesi, quindi, possiamo dire che la ricorsività è creativa, ma come dice Virno "si tratta di una creatività non poco bizzarra, essendo imperniata sulla monotona riproposizione dell'identico nucleo di esperienza".
Per capire meglio il rapporto tra sintassi e semantica, riprendo le parole di Virno:
"Il dispositivo sintattico basato sull'applicazione iterativa della stessa procedura non consente, in tal caso (nel regresso l'innovazione si trasforma in tautologia e viceversa, la differenza si commuta in identità, e così via, nda) di elaborare nuovi contenuti semantici. La sintassi si divarica nella semantica: la prima esibisce a chiare lettere la sua potenza trasformativa, ma questa potenza gira a vuoto, manifestandosi soltanto nell'ineusaribile proliferazione dei livelli gerarchici; la seconda pare invece atrofizzarsi, costretta com'è a battere il passo. Il regresso all'infinito è un reperto antropologico di straordinaria importanza già solo per il fatto di documentare l'intreccio, tipico della nostra specie, tra irreversibilità dei processi di sviluppo ed eterno ritorno all'uguale, linea e circolo, innovazione e 'ancora una volta'. L'animale linguistico è definito dalla coesistenza, anzi dalla reciproca implicazione, di queste due possibilità".
Secondo Virno il fondamento naturalistico del regresso, oltre che nella ricorsività sintattica, risiede nel circolo logico su cui essa si innesta, che ha la propria origine nel "rapporto dell'animale umano con l'ambiente" e che si esplica attraverso tre prerogative tipicamente umane: l'iper-riflessività, la trascendenza e la duplicità di aspetto.
Mi soffermerò nel prossimo post soprattutto sulla duplicità di aspetto, ossia "la necessità biologica di una esistenza artificiale o storico culturale" e quindi sul rapporto fra biologia e cultura.
Come si vedrà l'essere umano è artificialmente biologico e biologicamente artificiale ed in questa bipolarità risiede, secondo Virno, l'essenza della sua antropologia caratterizzata dal regresso e dalla necessità della sua interruzione.

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sabato 5 febbraio 2011

Hofstadter, Godel e la causalità verso il basso dei pattern complessi

Continuando la sintesi degli "strange loop" dell'Io di Douglas Hofstadter ci rimane da affrontare due aspetti cruciali, ossia come egli spiega la causalità degli eventi mentali e la metafora della mente attraverso i teoremi di Kurt Godel.

Inizio con la causalità e lo faccio attraverso una metafora di Hofstadter, che è quella del catenio delle tessere di domino. Come sempre facciamo parlare il nostro:
"L'idea di fondo è semplicemente che possiamo immaginare una struttura reticolare di catene di domino perfettamente sincronizzate che equivalga ad un programma informatico per eseguire un particolare calcolo, come per esempio determinare se un certo input sia o no un numero primo (...) Immaginiamo di poter dare uno specifico 'input' numerico al catenio prendendo un qualsiasi numero intero positivo che ci interessi - 641, poniamo - e collocando quella esatta quantità di tessere da un capo all'altro di un segmento 'riservato' alla struttura reticolare. Quando facciamo cadere la prima tessera del catenio, si verificherà una serie di eventi come nelle macchine di Rube Goldberg, in cui una tessera dopo l'altra si ribalterà, incluse, poco tempo dopo l'inizio, tutte e 641 le tessere che costituiscono il nostro 'segmento dell'input', e come conseguenza verranno fatti scattare vari altri loop, con qualcuno di essi che presumibilmente esaminerà il numero in input per vedere se è divisibile per 2, qualche altro se lo è per 3, e così via. Nel caso venga trovato un divisore, verrà inviato un segnale lungo un particolare segmento di tessere - chiamiamolo 'segmento del divisore' - e, se vedremo quel segmento cadere, sapremo che il numero in ingresso ha un qualche divisore e quindi non è primo. Per contro, se il numero in ingresso non ha divisori, allora il segmento del divisore non verrà mai attivato e noi sapremo che il numero in ingresso è primo".
Immaginiamo adesso di essere degli osservatori che non sappiano quale sia il programma che "gira" sul catenio reticolare e possano solo constatare che la tessera con il numero 641 resta in piedi.
Come mai resta in pedi?
Qualcuno potrebbe dare una spiegazione locale (e anche "banale") dicendo che il 641 non cade perché non cade la tessera precedente, ma qualcun altro potrebbe invece dare una spiegazione astratta intuendo che il 641 non cade perché è un numero primo.
Questo è un punto cruciale della metafora di Hofstadter e presuppone che il secondo tipo di osservatore si distanzi da una osservazione strettamente "micro" e "locale" per passare ad una osservazione "globale" e "macro" del catenio e soprattutto fornendone una spiegazione astratta basata sul concetto di numero primo.
Il fatto che il 641 non cade (evento fisico) perché è un numero primo (proprietà astratta) se ci pensiamo è davvero un fatto notevole in quanto ci fa concludere che c'è una relazione che possiamo definire di causalità fra due livelli diversi (affronteremo in futuro più in dettaglio il concetto di causa), in particolare un livello astratto determina l'accadimento di un evento fisico.
Come si è già detto, adottando un approccio emergentista si passa ad osservare e quindi cercare di spiegare un fenomeno complesso ad un livello "macro" e quindi di tipo globale e organizzativo.
Il fatto, lo ripeto, interessante della metafora del catenio è che il livello di tipo organizzativo superiore è anche un livello astratto in quanto è basato sul "concetto matematico di numero primo" che non è "qualcosa di fisico", ed apre immediatamente l'analogia con i neuroni (le "simm" che abbiamo visto nel post precedente) e i gruppi neuronali (i "simmbili"), ma anche tra livello neurobiologico e livello linguistico.
In sintesi, dunque, nel cervello ci sarebbero molteplici livelli di organizzazione di tipo gerarchico ed emergente in cui un livello superiore è in grado di interagire causalmente sul livello inferiore funzionando però con un codice diverso ed irriducibile rispetto a quello del livello inferiore.
In tale quadro, Hofstadter dice: "Vorrei sottolineare che qui non c'è alcuna forza fisica 'extra'; le leggi locali, miopi, della fisica, fanno tutto quanto da sole, ma è la disposizione globale delle tessere del domino ciò che determina gli eventi e se si osserva (e si capisce) quella disposizione, allora ci viene servita su un piatto d'argento una scorciatoia illuminante alla risposta delle tessere che non cadono nel segmento del divisore (così come alla risposta delle tessere che cadono nel segmento del numero primo (...) In breve, considerare la primalità di 641 come una causa fisica del nostro domino-catenio è analogo a considerare la temperatura di un gas come una causa fisica (per esempio, del livello di pressione che il gas esercita contro le pareti del suo contenitore)".
Il livello organizzativo superiore, in sintesi, non solo funziona con un codice diverso che ha un significato ed una semantica astratta, ma interagisce con quello inferiore influenzandone gli stati  fisici e questo avviene nel pieno rispetto delle leggi fisiche.

Kurt Godel
Passiamo adesso allo strano anello godeliano e alla sua stringente analogia con gli anelli nell'Io.
Tutto inizia, per così dire, con Bertrand Russell ed i suoi Principia Mathematica con i quali il grande matematico e logico pensò di aver dato alla luce un sistema logico-matematico consistente e completo nel quale, utilizzando le parole di Hofstadter, "la speranza è che tutti i teoremi di PM (Hofstadter abbrevia così l'insieme di regole e di manipolazione di simboli su cui si basano i Principia Mathematica, nda) generati in maniera meccanica siano enunciati veri della teoria dei numeri (ovvero che non venga mai generato un enunciato falso) e viceversa, che tutti gli enunciati veri della teoria dei numeri siano generati in maniera meccanica in quanto teoremi di PM. La prima di queste speranze è detta consistenza, la seconda completezza".
In sostanza Russell credette di aver trovato un sistema "chiuso" dal quale si potesse generare qualsiasi enunciato logico e matematico e si potesse quindi dimostrare con le sue regole. Quello che, invece, dimostrò Kurt Godel fu proprio che il sistema PM aveva dei "buchi", anzi infiniti buchi, che non erano dimostrabili all'interno dei PM stessi. Senza entrare nei dettagli, si può immaginare che Godel "trovò un sistema per associare ad una qualunque formula di PM un numero equivalente", che è detto numero di Godel, e quindi ideò un codice per "aritmetizzare" i PM.
Fatto questo, Godel poi passò a definire delle formule all'interno di questo nuovo codice che risultarono non dimostrabili con le regole di PM.
Come dice Hofstadter "Il giovane Kurt Godel - nel 1931 aveva solo 25 anni - aveva scoperto un vasto mare di formule assolutamente insospettate e bizzarramente contorte nascoste all'interno del mondo austero, formale, protetto della teoria dei tipi e pertanto apparentemente immune da paradossi, definito da Russell e Whitehead nel loro grandioso opus in tre volumi Principia Mathematica, e d'allora in poi le numerose proprietà controintuitive dell'originaria formula di Godel e dei suoi innumerevoli cugini hanno impegnato matematici, logici e filosofi."
Hofstadter chiama i teoremi di Godel strani anelli quintessenziali proprio in virtù del fatto che essi emergono dal sistema PM ma poi finiscono per dimostrarne l'incompletezza, cosa che è riassumibile nella proposizione "Io non sono dimostrabile in PM".
In tale processo, Hofstadter individua una profonda analogia con quell'anello particolare che è il nostro sé cosciente, che come abbiamo detto si genera per loop ricorsivi fino all'emergere di un loop auto-osservativo ed autoreferenziale, che è anche un "modo" per bloccare un potenziale regresso all'infinito.
Proprio del regresso all'infinito e del suo rapporto con la logica e l'antropologia tratterò nel prossimo post.

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