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sabato 28 settembre 2013

Tra "divenire zombie" ed il desiderio di cambiamento (2ª Parte)


"Il mondo dei fantasmi è quello che 
non abbiamo finito di conquistare" 
(Henry Miller, Sexus) 

"Il solo mito moderno è quello degli zombie - schizo mortificati, 
buoni per  il lavoro, ricondotti alla ragione"
(Deleuze-Guattari, L'Anti Edipo)




Rick Genest, alias "Zombie Boy"


II) "Divenire zombie" come conseguenza della morte di Dio

Cosa vuol dire che l'epoca della "morte di Dio" è anche quella del "divenire zombie"

Vuol dire che nel mondo contemporaneo (o, meglio, nei mondi della contemporaneità), caratterizzato dalla frantumazione di ogni ideale e di ogni fede (o, all'opposto, dalla sua esaltazione ossessiva), l'essere umano tuttavia non si è ancora svincolato dalla dipendenza e dall'assoggettamento agli iper-concetti trascendenti ed ai miti nelle loro varie declinazioni religiose (Dio, Chiesa, ecc.), sociali (Famiglia, Università, Moda ecc.), politico-burocratiche (Stato, Partito, Democrazia, Istituzione ecc.), economiche (Capitale, Mercato, Sviluppo, Crescita, ecc.), metafisiche (miti poetici, artistici, neo-pagani, new age ecc.), che anzi continuano a dominare in una sorta di macabra e ripetitiva ritualità priva di ogni reale senso di appartenenza da parte dei singoli se non di facciata. 

Chiamerò "divenire zombie" questo processo di sopravvivenza post-mortem degli iper-concetti di tipo trascendente, in analogia al mito dello zombie della fiction, le cui origini sono in genere fatte risalire ad Haiti dove si narra che i lavoratori delle piantagioni di canna da zucchero venissero drogati e ridotti in uno stato di schiavitù e che ciò abbia contribuito a creare (o a rafforzare) il mito dei morti viventi delle credenze popolari. 

La nostra è una società iper-mediatica, dunque intrinsecamente e profondamente annodata alla fiction, ed è per eccellenza quella che riesce a rendere reale ciò che è finzione e viceversa a rendere finzione ciò che è reale in un gioco continuo di scambio dove è più che evidente che i confini fra realtà e fiction hanno perso ogni consistenza, e pertanto risulta essere lo spazio ideale per la creazione, la diffusione e la perpetuazione di fantasmi collettivi

Viviamo in uno spazio iper-tecno-capitalistico dove coesistono contemporaneamente, in quella che chiamiamo la rete globale, una infinità di credenze ed opinioni (l'impero della doxa) che si diffondono senza la possibilità nè la volontà di approfondirne la attendibilità e men che mai la verità

In questo spazio dai connotati più disumani che umani, la "morte di Dio", intesa, come già detto nel precedente post, sia letteralmente che come morte del Dio metafisico e di quello dei poeti (questi ultimi due però continuano ad esistere come "zombie"), si sta consumando in realtà da un lato come iper-cinismo fondato sulla potenza decodificante del capitale (una macchina "schizofrenica" che riesce ad adattarsi ed a proliferare epidemicamente a prescindere da fattori culturali specifici e regionali) e sulla sua funzione principale di "produzione di desiderio di consumo" e dall'altro come proliferazione di fantasmi e ri-presentazione degli iper-concetti trascendenti che il postmodernismo sembrava solo in apparenza aver decostruito definitivamente fino a rendere dei meri simulacri.
Credit: Auerback to the future 1, Sophie Derrick 

Se è vero (sul concetto di verità torneremo in seguito) che "Dio è morto", è però accaduto che esso è ritornato e si ripete come "morto vivente", ossia come zombie ipertrofico e multi-metamorfico: fondamentalismi religiosi, piazze gremite in San Pietro ad acclamare il Papa (che pur è fra i pochi a dire cose sensate nella loro "ovvietà" - come la ormai famosa frase sui gay - che però appare "innovativa" se pronunciata dalla bocca di un papa che viene dalla "fine del mondo", soprattutto dopo il "teologo" Ratzinger), recenti video surreali di leader politici condannati dalla magistratura ed acclamati dai propri "tirapiedi" e dal "popolino" adulante e rabbioso, nuove ed improbabili guerre fredde attorno a paesi medio-orientali dilaniati dalla guerra civile, scontri tragicomici fra pseudo-leader politici fondati su slogan populistici, una pervasiva cultura dell'immagine e della fiction, del marketing, della comunicazione, del consenso, del consumo ossessivo (tra cui droghe e farmaci) e delle statistiche, un'etica occidentalizzata dei diritti umani, guerre umanitarie, una bioetica da talk show, il proliferare del "neuro" e del "quanto" qualcosa come spiegazioni "tuttologiche" della "snack-culture", ovunque regna pressoché incontrastato uno zombie del pensiero che si manifesta come reale o addirittura come "unica realtà possibile" o, magari, come "verità".

E' come se la morte di Dio fosse in realtà stata una sorta di esplosione letale dalla quale si sono promanati una infinità di frammenti che continuano ad esistere nella forma di zombie contagiosi ed epidemici, tanto più pericolosi per il fatto che sono dei morti-viventi che è difficile se non impossibile poter uccidere un'altra volta senza che ritornino di nuovo (anche se nella fiction è possibile ucciderli tagliando loro la testa, anche qui con un significato metaforico nemmeno tanto nascosto).

Lo zombie è la forma di immortalità dell'iper-concetto, dell'Uno (come direbbe Badiou "l'Uno non è", e aggiungo io dell'Uno che non è, ma diviene come zombie, ossia come fenomeno di ripetizione acefala dello stesso).



Credit: Peeking, Shin-Young An
Come scrive lo psicanalista lacaniano Massimo Recalcati nel suo "L'uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicanalitica" (2010), è il vuoto a pervadere quel che resta del soggetto contemporaneo (non il vuoto ontologico di Alain Badiou di cui parlavo nel post precedente, ma un vuoto fenomenologico-esistenziale) tanto che oggi si parla di clinica del vuoto in relazione a patologie sempre più diffuse come l'anoressia, gli attacchi di panico e le depressioni, tutte accomunate dalla predominanza della pulsione di morte e dalla entrata in scena prepotente del reale del godimento (la jouissance di Lacan, la volontà di possedere la Cosa di godimento) rispetto alle più classiche patologie del desiderio e della rimozione della clinica della nevrosi o della psicosi.

Sempre Recalcati nel suo "Ritratti del desiderio" (2012), dove elenca dieci tipologie di desiderio (invidioso, dell'Altro, desiderio e angoscia, desiderio di niente, desiderio di godere, desiderio dell'Altrove, desiderio sessuale, desiderio amoroso, desiderio di morte, desiderio dell'analista) parla del desiderio di niente e scrive:


"Il desiderio come desiderio di niente sembra invece sganciarsi da ogni relazione con l'Altro. Non è più desiderio dell'Altro, non è più in relazione con l'Altro, ma è desiderio che consuma sé stesso, desiderio, dunque, di nessun oggetto, desiderio di niente appunto.

Cosa significa? Significa che la natura del desiderio porta con sé non solo la necessità del legame con l'Altro, ma anche una incompatibilità di fondo. 
Il desiderio umano non è solo desiderio dell'Altro, non è solo ciò che si appaga simbolicamente nel desiderio dell'Altro, nel sentirsi riconosciuto, voluto, desiderato dall'Altro, ma è anche desiderio d'Altro, desiderio che sospinge al di là di ogni possibile oggetto, al di là di ogni possibile soddisfazione, compresa quella simbolica del riconoscimento. 
Il Don Giovanni si presta ad incarnare questa fuga perpetua e inquieta del desiderio: nessuna è mai abbastanza. L'umano è travolto dalla forza del desiderio come desiderio di niente. (...)
E' quella dimensione del desiderio che non s'incarna solo nell'isteria, ma anche nella spinta compulsiva al nuovo, al non ancora visto e al non ancora conosciuto, al di là dell'oggetto a disposizione. Il desiderio come desiderio d'Altro è desiderio non di "questo", di ciò che ho, di ciò che è presente, ma sempre di "altra Cosa", di una Cosa che non può mai essere presente. 
Per questo, secondo Lacan, i bambini dicono di volere la luna. 
Non un oggetto del mondo tra gli altri, ma qualcosa che dal mondo si vede ma che è fuori del mondo. Essi vogliono l'oggetto impossibile da avere, l'oggetto irraggiungibile, l'oggetto degli oggetti, l'oggetto di un altro mondo.
Nel desiderio come desiderio di niente, come desiderio d'altro, si tratta del desiderio come insoddisfazione perpetua, del carattere anarchico, impossibile da educare, irrequieto, intemperante del desiderio che si manifesta prepotentemente nella figura del Don Giovanni, il quale rincorre e seduce senza tregua le sue prede senza mai potersi fermare a una sola.(...)


La parabola dei ciechi (1568), Pieter Bruegel
Egli è il ritratto del desiderio come desiderio d'Altro, come desiderio di niente. Per questo il desiderio di Don Giovanni - nella sua fuga incessante - porta alla dissipazione ed alla morte. Lo sanno bene certe isteriche che alla fine della loro vita restano con un pugno di mosche: hanno sempre obbedito alla legge del desiderio d'Altro vivendo in una perenne inconcludenza.
Il desiderio d'Altro accompagna come un'ombra la dimensione vacua dell'utopia. (...)
Ma non è un caso che Lacan definisse l'utopia come una delle figure fallimentari del desiderio. Il rischio del desiderio utopico è, infatti, quello di non realizzarsi mai, di differire perennemente la sua soddisfazione, di restare perennemente insoddisfatto.
Il fantasma isterico che sostiene questo differimento perpetuo è che la realizzazione del desiderio coinciderebbe con la sua stessa morte. (...)
Il discorso del capitalista ha sfruttato in modo astuto il desiderio come desiderio di niente. (...) Il desiderio come desiderio d'Altro mostra che il niente abita sempre ogni oggetto del mondo. 
Da questa inconsistenza scaturisce l'astuzia del discorso del capitalista. 
Esso la sfrutta abilmente spostando la promessa da un oggetto all'altro, promettendo, per il tramite del nuovo oggetto, una salvezza che dovrà invece rivelarsi come mancata, deludente, per poter alimentare di nuova energia la corsa folle del desiderio.
Il discorso del capitalista fa finta di voler guarire la mancanza che affligge l'umano solo per sfruttare il più possibile l'esistenza di questa mancanza.
Per questa ragione Lacan riconosceva nell'iperattività un tratto decisivo di quel discorso.
La sua furia nichilistica tende a far trapassare il desiderio verso un godimento rovinoso che con l'illusione di perseguire il "nuovo" come terra promessa non fa altro che ripetere la stessa insoddisfazione."


Credit: Mind Trip, Naoto Hattori
E ancora, più avanti:

"Il desiderio come desiderio d'Altro, come desiderio di niente, assomiglia, secondo Lacan, a un'opera del fiammingo Brueghel dove una colonna di uomini ciechi segue una guida anch'essa cieca. Il desiderio di niente non è motore della vita, non è apertura alla vita, non è slancio e creazione, non è lavoro e progetto, ma costeggiamento di un precipizio, rischio di perdersi, di smarrirsi, pericolo della caduta nel vuoto."


La risposta a questo desiderio di niente, a questa mancanza senza oggetto, è quella di Don Giovanni che si trasforma in una macchina pura di godimento, mero collezionatore di corpi femminili, che in questo modo "prova a resuscitare l'illusione dell'eternità, della sospensione del tempo, dell'immortalità", esorcizzando "lo spettro sempre incombente della caducità. Lo scongiuro della morte appare allora come il vero significato dell'operazione seduttiva e dell'incubo fallico della prestazione".


Gli zombie del pensiero, dunque, ci costringono nelle gabbie di una realtà svuotata di ogni senso se non quello del godimento, nel senso psicanalitico sopracitato, riemergono con forza gettando il soggetto contemporaneo in una profonda angoscia che si nutre di sè stessa fino a desiderare l'annichilamento stesso del soggetto o una sua falsa salvezza attraverso la sottomissione più o meno consapevole allo zombie dominante o magari solo più conveniente.


E' del tutto evidente come la "morte di Dio" sia confluita nella volontà di godimento assoluto e fine a sé stesso che caratterizza la nostra contemporaneità, che proprio perchè impossibile (è uno zombie del pensiero, un fantasma) finisce per provocare più tensioni e patologie psico-fisiche che quell'agognato e "sacro" benessere che è invece una costante dell'immaginario delle democrazie -capitalistico-parlamentari (come le definisce Badiou): siamo, dunque, di fronte ad un vero e proprio delirio paranoico della contemporaneità in cui una certa predominanza della pulsione di morte sulla produzione desiderante si sfoga attraverso il processo paradossale (quindi, se vogliamo, anche "normale" dal punto di vista inconscio) del "divenire zombie", ossia della persistenza nella realtà di iper-concetti trascendenti (Dio, Partito, Mercato ecc.) che condizionano massivamente le nostre esistenze rendendoci asserviti e assoggettati allo status quo senza alcuna possibilità di modificarlo e condannandoci ad una mortificante eterna ripetizione dello Stesso.


In una frase: non siamo capaci di generare alcun tipo di cambiamento fecondo della realtà.

Credit: Vladim Stein
La nostra fragile e contraddittoria economia libidinale è, in estrema sintesi, incapace di generare una valida alternativa alla persistenza degli zombie del pensiero e del loro complesso rapporto con un inconscio devastato se non annullato da quello che Lacan, come abbiamo visto, chiamava il discorso del capitalista.

Divenire zombie, quindi, è la dimensione esistenziale del soggetto contemporaneo (o di quel che resta di esso) condannato al conformismo più grigio ed all'adeguazione più acefala alle forme mortifere delle democrazie capital-parlamentari occidentali o alle varie forme di totalitarismo, fondamentalismo e autoritarismo delle altre parti del mondo (in questo lo zombie è una sorta di figura mitica universale ed è vano, quanto ridicolo, difendere uno stato piuttosto che un altro solo perchè si oppone agli USA in quanto identificati ingenuamente con il Male Assoluto).

Prendendo le mosse da Alain Badiou e dalla sua "Logiques des mondes" (2006, non tradotto ancora in italiano e sintetizzato da Badiou nel "Secondo Manifesto per la filosofia" del 2010), potremmo dire che il nostro mondo, i nostri mondi, sono caratterizzati da un Trascendentale (per semplificare estremamente immaginiamo una struttura d'ordine del tipo < =, a-soggettiva, in cui sono definite una funzione di identità e, quindi di differenza, massimi e minimi di esistenza, l'operazione di congiunzione e quella di involucro e la congiunzione è distributiva rispetto all'involucro: più tecnicamente un' algebra di Heyting) che non consente l'emergenza di quelli che Badiou chiama eventi, ossia rotture radicali dello status quo del sapere e dell' ordine costituito, che restano come mere potenzialità ontologiche la cui manifestazione fenomenologica è per lo più preclusa alle condizioni (trascendentali) attuali, a meno di tracce molto flebili se non evanescenti.

Cosa possiamo ideare per opporci al "dominio dei morti-viventi", quindi a questa particolare forma di immortalità degli iper-concetti, che seppur morti continuano a vivere come potenti zombie?

La proposta di Alain Badiou, che possiamo immaginare come una sorta di "soggetto anti-zombie", è quella che nel lessico dell'autore è definito come un soggetto immortale (legato per Badiou al concetto di verità che "buca" il sapere ed il linguaggio) e quindi immune o, quanto meno, resistente allo zombie, che deve però in qualità di singolo, come scrive Peter Sloterdijk, saper cambiare la propria vita.

Resta, però, come avrò modo di dire, il forte dubbio sulla reale possibilità di realizzare questo "nuovo soggetto" ipotizzato da Badiou.

Vedremo nel prossimo post di cosa si tratta parlando di soggetto, di evento e di cambiamento.